Lezione della guida alpina Sergio Rosi a Passo Principe.
Il rifugio PLUS
una esperienza formativa del corso di Architettura dell’Università di Trento
L’evoluzione e il mutamento in atto degli utenti della montagna esprimono esigenze diverse e talvolta nuove per il rinnovamento e la costruzione di nuovi rifugi alpini, in termini di adeguamento dei servizi e soluzioni architettoniche coinvolgono gli aspetti culturali e sta suscitando interesse e ha innescato accesi dibattiti, tra esigenze di modernizzazione e desiderio di conservazione dello spirito originario.
Su sollecitazione dell’Accademia della Montagna del Trentino, abbiamo pensato di portare questo tema all’interno dell’Università coinvolgendo gli studenti del corso di Laurea di Ingegneria edile -Architettura di Trento proprio sul tema della progettazione o riprogettazione dei rifugi alpini.
Abbiamo così dato corpo all’idea di dedicare un corso alla progettazione e all’architettura dei rifugi, non tanto per formare degli architetti specializzati in questo settore di nicchia della progettazione, quanto con lo scopo di sperimentare e sviluppare proposte sulle quali aprire un confronto culturale ampio da posizioni non preconcette ma su concreti esempi confrontabili.
All’interno del corso istituzionale di Architettura e Composizione Architettonica 3 (prof. Claudio Lamanna) è stata costruita un’offerta didattica, con una serie di lezioni incentrate sull’Architettura dei rifugi alpini e sulle possibili evoluzioni progettuali, arricchita da numerosi contributi esterni di specialisti, storici, progettisti, antropologi, funzionari pubblici del settore, guide alpine.
Il corso ha interessato una sessantina di studenti del Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura dell’Università degli Studi di Trento nel primo semestre dell’anno accademico 2013-2014. Oltre allo specifico ciclo di lezioni, gli studenti hanno sperimentato nel Laboratorio di Architettura la progettazione di un preciso rifugio: in piccole equipe hanno prodotto una ventina di progetti su un caso concreto di rifugio escursionistico attualmente in disuso.
All’inizio dell’anno accademico gli studenti sono stati ospiti di Accademia della Montagna del Trentino presso il rifugio Gardeccia, ai piedi del gruppo del Catinaccio, per una due giorni di particolare attività didattica: dal rilevamento dello stato di fatto di uno specifico edificio (il glorioso ma fatiscente rifugio Catinaccio in val di Fassa), alle lezioni sul campo; al posto dei muri dell’aula, le pareti dolomitiche hanno fatto da limite a questa particolare esperienza di apprendimento che ha proiettato gli studenti al centro della questione; incontrare nel loro ambiente maestri arrampicatori, guide alpine, gestori di rifugi come Sergio Rosi ed Egidio Bonapace- è stata una esperienza formativa importante per avvicinare università e società. Al rientro in università, gli studenti hanno poi lavorato per tre mesi ai progetti, nel laboratorio di architettura; la concezione originale di ciascun gruppo ha prodotto schede, diagrammi e plastici concettuali che sono stati valutati a fine ottobre del 2013. Da questi lavori sono stati sviluppati i progetti definitivi: grandi plastici in scala 1:100 e tavole alle varie scale che mostrano una ricca varietà di proposte funzionali e architettoniche sono stati portati all’esame del corso del quarto anno di ingegneria-architettura e valutati da una commissione composta, oltre che dai professori e da specialisti e operatori del settore.
L’ARCHITETTURA DEI RIFUGI
Il progetto di un rifugio in ambiente alpino è uno dei temi di architettura che risulta meno sviluppato ed approfondito, in parte a causa delle poche realizzazioni che questo particolare settore della progettazione ha prodotto, in parte per le radicali distanze che intercorrono fra la pratica edilizia convenzionale e quella d’alta quota. Il rifugio, per sua natura, non è altro che una proiezione fisica del limite dell’architettura sia da un punto di vista fisico, come ultimo luogo antropizzato prima della montagna, sia sotto il profilo teorico del progetto, dove tutte le problematiche di un comune edificio si presentano in forma amplificata.
Energia, gestione dei rifiuti, cantierizzazione, inserimento nel paesaggio e accessibilità sono temi trasversali a tutto il mondo del costruito, tuttavia nel progetto d’alta quota questi fattori assumono un coefficiente di difficoltà che richiede un’attenta soluzione, capace di recepire di volta in volta gli stimoli ambientali del luogo per darne una risposta specifica.
Da ciò s’intuisce come sia difficile esportare con successo le logiche di standardizzazione degli apparati normativi nell’ambiente alpino che ben funzionano per regolare l’edilizia convenzionale nei centri urbani; d’altro canto è chiaro che la costruzione dei rifugi non possa essere deregolamentata, ma è necessario definire un sistema capace d’intercettare le specificità del luogo, il senso profondo del rifugio e gli standard tecnici combinandoli in soluzioni specifiche per il singolo ambiente montano anziché derivarle da quelle dei centri urbani.
In questa ricerca è fondamentale partire dal significato del sostantivo con cui appelliamo il nostro soggetto d’indagine, il “rifugio”, termine individuato nell’ottocento per definire le prime forme di risposta ad un’esigenza precisa dell’esploratore ovvero di trovare un luogo ove rifugiarsi dalle intemperie. Da un punto di vista tipologico si trattava di ripari minimi, il più delle volte addossati alle pareti, costruiti con quanto di meglio era disponibile per le tecnologie di cantierizzazione del tempo e dunque il più delle volte in pietra locale. Con il passare delle generazioni la frequentazione delle montagne ha subito un’evoluzione, dagli esploratori d’inizio ottocento alle guide di fine XIX secolo e via via fino ai conquistatori delle vette del primo novecento ed ai grandi arrampicatori degli anni sessanta, con un numero sempre crescente di persone alla ricerca non solo di un riparo per il mal tempo, ma di veri e propri campi base per le ascensioni in vetta. Ciò ha portato ad un sistema stratificato di aggiunte funzionali capaci di dare risposta alle esigenze via via manifestate dall’evolversi delle caratteristiche degli ospiti. Il risultato di questa sedimentazione di adeguamenti funzionali ha portato ad un’espansione per corpi che hanno superfetato i rifugi originari, non riuscendo sempre a costruire un impianto coerente e funzionale per un’ottimale gestione del rifugio.
Il nostro oggetto di studio, il rifugio Catinaccio, ne è un esempio evidente: al nucleo storico sono stati aggiunti per addossamento prima una torretta contenente i servizi igienici, poi un secondo corpo per ampliare i coperti della sala ristorante ed infine un bar, generando sia delle disfunzioni parassite nella gestione quali il porre su livelli diversi le sale da pranzo e cucine che evidenti problemi tecnologici legati ai movimenti relativi dei diversi corpi che a catena hanno aperto fessure nei brani murari dove filtra l’acqua delle coperture.
Trovandoci ad affrontare la riqualifica di questo rifugio emerge una questione centrale legata ai principi fondativi della progettazione ed al rapporto dialettico fra tradizione e contemporaneità.
La continuità con la tradizione va ricreata attorno ai presupposti culturali e antropologici dell’architettura piuttosto che ricercata nell’esteriore aspetto formale o nella riproposizione stilistica dei materiali tradizionali; è necessario ripartire dalle due domande che hanno generato il rifugio stesso ovvero quali siano le aspettative, materiali e ambientali, degli utenti e quali siano, allo stato, le soluzioni tecnologicamente più adeguate a quelle aspettative.
Anche in montagna, dove sembra prevalere l’aspetto naturale, il paesaggio è una costruzione antropica in evoluzione, così come in continuo divenire sono le esigenze e i requisiti richiesti agli edifici in ogni ambiente; diventa quindi incerto il limite tra rifugio alpino e rifugio escursionistico, rispetto ai servizi forniti e all’immagine che ne deriva; quasi si tende a confondere, almeno dal punto di vista linguistico, persino la distinzione rispetto alle strutture di grande accoglienza alberghiere che in realtà rappresentano forme di accoglienza ben diversamente strutturate nell’offerta di servizi, comfort e intrattenimento, misurabili in stelle.
Un rifugio offre ai suoi ospiti il territorio di cui è presidio, trasmettendo la cultura della montagna e diventando strumento fisico per la definizione delle forme di turismo. Se oggi l’escursionismo ed il trekking costituiscono il maggior bacino di utenti delle Alpi, la costruzione di un nuovo rifugio non può prescindere dal cercare di anticipare il divenire delle risposte che la montagna può offrire e quindi è necessario progettare una flessibilità nell’uso, una adattabilità dell’architettura alle future necessità; nel campo distributivo e impiantistico si possono ad esempio prevedere delle risposte architettoniche alle mutate esigenze in evoluzione del frequentatore medio di queste strutture, soprattutto per quanto concerne il taglio delle stanze e la presenza di servizi igienici personali in camera. Si tratta di studiare in maniera non ridondante, le soluzioni adeguati al naturale sviluppo delle forme di accoglienza, per continuare a trasmettere quel senso di vivere essenziale dell’ambiente montano di cui i rifugi sono testimoni storici: un vivere fatto di spazi privati essenziali e da un grande spazio di relazione, solitamente la sala pranzo, dove da sempre le diverse generazioni di alpinisti ed escursionisti si incontrano.
Con la sperimentazione che abbiamo avviato con gli studenti non pensiamo certo di proporre una nuova forma di albergo in alta quota, ma semmai di portare un contributo di proposte alla discussione sul possibile aggiornamento delle attuali categorie - rifugio alpino, rifugio escursionistico- che normano il settore in Italia.
Si potranno confrontare forme e soluzioni specifiche per un rifugio che meglio si presti a rispondere a plurime aspettative, che possa favorire la conoscenza della montagna: un ambiente naturale da avvicinare con rispetto, preparazione e impegno.
Questa tipologia di architettura nel paesaggio alpino l’abbiamo sinteticamente chiamata rifugioPLUS.
Claudio Lamanna
Giovanna Salgarello
Riccardo Giacomelli
UNIVERSITA' DI TRENTO
Egidio Bonapace
IL RIFUGIO ALPINO
Il rifugio alpino prima di essere ”tetto- riparo- ristoro” è un concetto culturale: è il tentativo dell’ uomo di rendere abitabile un luogo che non lo è.
Le radici più profonde della parola rifugio affondano in un contesto culturale diverso da quello attuale, a partire da quello economico per gli scambi commerciali, oppure quello religioso con i pellegrinaggi ai grandi santuari o ospizi sui passi più importanti delle alpi.
Ecco che i primi rifugi sorti in montagna sono gli ospizi per i pellegrini ed il Trentino ha ai suoi confini occidentale ed orientale due esempi chiarissimi, nell’ospizio di S Bartolomeo al Passo del Tonale e nell’ospizio di S Pellegrino all’omonimo passo.
Poi vennero i primi ripari sotto la roccia dei pionieri dell’alpinismo e subito dopo i rifugi dell’ ultimo decennio del ottocento ed è con questi primi rifugi che nasce in Trentino il Turismo come lo intendiamo oggi.
I primi rifugi furono le strutture pioniere del turismo Trentino e dobbiamo essere grati a quegli uomini che tra mille difficoltà e con i mezzi del tempo edificarono quelle strutture.
Il nome rifugio evoca protezione materiale e morale. Il rifugio è stato per decenni il punto di partenza per i frequentatori della montagna. Oggi si è trasformato in punto di arrivo per la grande maggioranza degli escursionisti.
Dalla montagna verticale degli alpinisti alla montagna trasversale degli escursionisti, questo diverso approccio ha cambiato nel giro di pochi anni, il ruolo ed il senso di rifugio.
La sfida che abbiamo davanti è come conciliare tradizione ed innovazione.
Il gestore è l’anima del rifugio, il rifugio è solo il contenitore.
Il rifugio è una famiglia. Per i mesi trascorsi al rifugio i problemi del singolo sono i problemi di tutti. Le gioie e le soddisfazioni sono allo stesso modo quelle di tutti.
Il vivere quotidianamente in uno spazio ristretto, e in continuo contatto è la maggiore difficoltà che si incontra al rifugio per il gestore la sua famiglia ed i suoi collaboratori.
Ho costruito la mia famiglia al rifugio, dove vivevo per 9 mesi l’anno, i figli ci sono arrivati a tre mesi di vita, e sono cresciuti con noi fino al momento di frequentare la scuola, questa è stata sicuramente una grande esperienza, dura, non facile, che lascia un segno.
Quando lasci questo mondo e scendi a valle, ti trovi in difficoltà, nel rapportarti col gli altri e con la società, ti manca quello che in tante occasioni avevi maledetto.
Ed allora fai di tutto per ritornare, per ritrovarti, per vivere quella dura quotidianità, dove se pur con tanti problemi e fatiche sei tu che decidi, e devi confrontarti con pochi, coloro che vivono e lavorano con te, e poi si va avanti sicuro di fare e di dare quello che senti.
Di essere quel custode delle tradizioni e dell’ospitalità montanara, ospitalità che ancora oggi si distingue per quel rapporto diretto che si instaura tra gestore ed alpinista/escursionista.
Non c’è ombra di dubbio che la parte strutturale negli ultimi anni ha subito uno stravolgimento, determinata in parte dalle nuove normative ma soprattutto da una nuova richiesta di servizi da parte dei frequentatori.
Sono cambiati totalmente i fruitori e le percentuali dicono che sono meno gli alpinisti e più gli escursionisti.
I rifugi della fine 800 fino a prima della seconda guerra, erano edifici con grande ospitalità, le stanze erano piccole con pochi letti, trovavi armadio, comodino, brocca e catino per l’acqua, la montagna esplorata, camicia bianca gilè e giacca, donne con gonne e cappelli in testa.
Dagli anni 70 agli anni 90 la montagna ha subito un grande assalto, vengono uniti i locali per creare cameroni, è il momento dei numeri, rifugio per far festa, poca attenzione ai particolari.
Anni 2000 siamo ritornati alla montagna non più dei numeri, ma alla tranquillità, ad una buona accoglienza, alla famigliarità, alla ricerca di qui rifugi lindi, accoglienti, con stanze piccole, dove servizio, simpatia, conoscenza e accoglienza fanno la differenza.
Oggi i rifugi che offrono un servizio migliore, sia esso di ospitalità, di pulizia, di cura, di stanze piccole, con attenzione alla cucina, fanno la differenza e sono frequentati percentualmente più da alpinisti ed escursionisti stranieri.
In un momento di cambiamento della montagna in generale, il rifugio che è da sempre il presidio di ospitalità cultura e conoscenza svolge un ruolo di grande importanza.
I Rifugi che offrono tutto questo e che pongono una maggiore attenzione all’offerta di ospitalità di qualità, tutte cose che non costano nulla, ma che vengono dalla passione, professionalità, conoscenza e rispetto per l’ospite, riescono a riposizionarsi a pieno diritto nel mondo dei frequentatori della montagna, e a far ritornare il rifugio la casa dell’alpinista.
Il rifugio che trasmette umanità e conoscenza della montagna, in una situazione di sobrio confort trasmette quella piacevole atmosfera che tutti cercano nel rifugio, ma che è indispensabile trovare.
IL RIFUGIO ALPINO
Il rifugio alpino prima di essere ”tetto- riparo- ristoro” è un concetto culturale: è il tentativo dell’ uomo di rendere abitabile un luogo che non lo è.
Le radici più profonde della parola rifugio affondano in un contesto culturale diverso da quello attuale, a partire da quello economico per gli scambi commerciali, oppure quello religioso con i pellegrinaggi ai grandi santuari o ospizi sui passi più importanti delle alpi.
Ecco che i primi rifugi sorti in montagna sono gli ospizi per i pellegrini ed il Trentino ha ai suoi confini occidentale ed orientale due esempi chiarissimi, nell’ospizio di S Bartolomeo al Passo del Tonale e nell’ospizio di S Pellegrino all’omonimo passo.
Poi vennero i primi ripari sotto la roccia dei pionieri dell’alpinismo e subito dopo i rifugi dell’ ultimo decennio del ottocento ed è con questi primi rifugi che nasce in Trentino il Turismo come lo intendiamo oggi.
I primi rifugi furono le strutture pioniere del turismo Trentino e dobbiamo essere grati a quegli uomini che tra mille difficoltà e con i mezzi del tempo edificarono quelle strutture.
Il nome rifugio evoca protezione materiale e morale. Il rifugio è stato per decenni il punto di partenza per i frequentatori della montagna. Oggi si è trasformato in punto di arrivo per la grande maggioranza degli escursionisti.
Dalla montagna verticale degli alpinisti alla montagna trasversale degli escursionisti, questo diverso approccio ha cambiato nel giro di pochi anni, il ruolo ed il senso di rifugio.
La sfida che abbiamo davanti è come conciliare tradizione ed innovazione.
Il gestore è l’anima del rifugio, il rifugio è solo il contenitore.
Il rifugio è una famiglia. Per i mesi trascorsi al rifugio i problemi del singolo sono i problemi di tutti. Le gioie e le soddisfazioni sono allo stesso modo quelle di tutti.
Il vivere quotidianamente in uno spazio ristretto, e in continuo contatto è la maggiore difficoltà che si incontra al rifugio per il gestore la sua famiglia ed i suoi collaboratori.
Ho costruito la mia famiglia al rifugio, dove vivevo per 9 mesi l’anno, i figli ci sono arrivati a tre mesi di vita, e sono cresciuti con noi fino al momento di frequentare la scuola, questa è stata sicuramente una grande esperienza, dura, non facile, che lascia un segno.
Quando lasci questo mondo e scendi a valle, ti trovi in difficoltà, nel rapportarti col gli altri e con la società, ti manca quello che in tante occasioni avevi maledetto.
Ed allora fai di tutto per ritornare, per ritrovarti, per vivere quella dura quotidianità, dove se pur con tanti problemi e fatiche sei tu che decidi, e devi confrontarti con pochi, coloro che vivono e lavorano con te, e poi si va avanti sicuro di fare e di dare quello che senti.
Di essere quel custode delle tradizioni e dell’ospitalità montanara, ospitalità che ancora oggi si distingue per quel rapporto diretto che si instaura tra gestore ed alpinista/escursionista.
Non c’è ombra di dubbio che la parte strutturale negli ultimi anni ha subito uno stravolgimento, determinata in parte dalle nuove normative ma soprattutto da una nuova richiesta di servizi da parte dei frequentatori.
Sono cambiati totalmente i fruitori e le percentuali dicono che sono meno gli alpinisti e più gli escursionisti.
I rifugi della fine 800 fino a prima della seconda guerra, erano edifici con grande ospitalità, le stanze erano piccole con pochi letti, trovavi armadio, comodino, brocca e catino per l’acqua, la montagna esplorata, camicia bianca gilè e giacca, donne con gonne e cappelli in testa.
Dagli anni 70 agli anni 90 la montagna ha subito un grande assalto, vengono uniti i locali per creare cameroni, è il momento dei numeri, rifugio per far festa, poca attenzione ai particolari.
Anni 2000 siamo ritornati alla montagna non più dei numeri, ma alla tranquillità, ad una buona accoglienza, alla famigliarità, alla ricerca di qui rifugi lindi, accoglienti, con stanze piccole, dove servizio, simpatia, conoscenza e accoglienza fanno la differenza.
Oggi i rifugi che offrono un servizio migliore, sia esso di ospitalità, di pulizia, di cura, di stanze piccole, con attenzione alla cucina, fanno la differenza e sono frequentati percentualmente più da alpinisti ed escursionisti stranieri.
In un momento di cambiamento della montagna in generale, il rifugio che è da sempre il presidio di ospitalità cultura e conoscenza svolge un ruolo di grande importanza.
I Rifugi che offrono tutto questo e che pongono una maggiore attenzione all’offerta di ospitalità di qualità, tutte cose che non costano nulla, ma che vengono dalla passione, professionalità, conoscenza e rispetto per l’ospite, riescono a riposizionarsi a pieno diritto nel mondo dei frequentatori della montagna, e a far ritornare il rifugio la casa dell’alpinista.
Il rifugio che trasmette umanità e conoscenza della montagna, in una situazione di sobrio confort trasmette quella piacevole atmosfera che tutti cercano nel rifugio, ma che è indispensabile trovare.
Luca Gibello Meto
ARCHITETTURA DEI RIFUGI ALPINI. Ciclo di lezioni.
«...anche quando il monte sarà deserto, la piccola casa rimarrà ad attendere il possesso dell’uomo; si coprirà di ghiaccio nel lungo inverno; scricchiolerà sotto i colpi della bufera come una navicella sul mare infuriato; ma, passato il mal tempo, ritornerà a sorridere lieta e ospitale in un’atmosfera nuova». (Guido Rey)
Prima parte: elementi per il progetto
Valenze sociali, storiche e simboliche dei rifugi; modificazione dell'utenza e del quadro esigenziale.
Lo stato dell'arte della progettazione dei rifugi negli ultimi 20 anni; rassegna di casi studio significativi.
Un caso studio: ristrutturazione e ampliamento del rifugio Baita Tonda.
Seconda parte: sinossi storica suddivisa in periodi cronologici
Sinossi storica (1750-1900)
-Il concetto di riparo: origine e forme archetipiche
-La nascita dell'alpinismo
-Dalle soluzioni di fortuna alle prime costruzioni
-Principi di prefabbricazione
Sinossi storica (1900-1943)
-Evoluzioni: il rifugio-albergo
-Influssi di pensiero: Heimatschutz
-Le guerre mondiali
-I bivacchi fissi
-Il ruolo dei progettisti
Sinossi storica (1943-1991)
-I grandi numeri
-Il ruolo della tecnica
-La preoccupazione ambientale
-Proiezione del film "Il lusso della montagna" I rifugi delle Dolomiti bellunesi.
Luca Gibello
Alcune note a margine del corso.
Se nel corso di Composizione architettonica 3 dell'Università di Trento il tema è stato imposto, sempre più spesso si trovano studenti che scelgono come soggetto di tesi la progettazione (o riprogettazione) di un rifugio o un bivacco. Siamo al capolinea? (Nel senso che ogni tema è ormai inflazionato e non si sa più dove andare a parare?) Non credo. Il progetto del ricovero alpino è una buona palestra sperimentale per svariate ragioni: testare condizioni di contesto particolari, quando non estreme; calibrare la distribuzione ottimizzando l'uso dello spazio; massimizzare l'efficienza prestazionale dell'involucro, degli impianti e, più in generale, del “funzionamento” dell'edificio; razionalizzare la logistica di cantiere; minimizzare i costi, traendo il massimo dei benefici.
Il confronto con il tema concreto del rifugio Catinaccio, a una quota non certo d'alta montagna, è stato anche per me una lezione, limando il mio atteggiamento - un po' da integralista talebano, lo ammetto - di alpinista “duro e puro”. Gli alpinisti sono davvero una risicata minoranza, tanto più in quella fascia ambientale che è la conca di Gardeccia laddove sorge il rifugio.
Eppure, non si deve vendere l'anima. Il progetto cioè dovrà saper esprimere un “non so che” (senso di condivisione, convivialità e spartanità) che dovrà sempre un poco distinguerlo dall'omologante modello alberghiero. È vero che, negli ultimi tempi il “pubblico” richiede a voce sempre più sostenuta maggiori comfort, servizi, ecc. Però, come in parte già accennato in aula, vorrei provare a impostare il ragionamento su una prospettiva più ampia e su un tempo meno limitato.
La massificazione turistica ha ampiamente mostrato la corda; i modelli comportamentali, la sociologia dello svago (e della cultura, perché mai come ora i due termini sono complementari se non sinonimi) privilegiano filosofie slow, sensibilità ecologica, consapevolezza storico-sociale dell'ambiente di cui siamo temporaneamente ospiti attraverso la nostra visita. Il ricovero alpino (insieme a chi lo conduce) incarna già - o ancora - tali valori, ma il rischio è questi vengano sacrificati sull'altare della rincorsa al modello più “moderno” (nella fattispecie, quello alberghiero). Per poi magari accorgersi, in un domani probabilmente prossimo, che occorre “recuperare le radici”, ritornare all'essenza, alla peculiarità dell'ospitalità in montagna (che, soprattutto in quota, differisce lievemente dal concetto di wellness). Speriamo di accorgerci in tempo, onde evitare di avanzare per poi dover percorrere la strada a ritroso.
Mi auguro dunque che i progetti degli studenti sappiano restituire quell'atmosfera, quel “non so che” che ti fa capire che ti stai trovando in un rifugio alpino e non in un'osteria o in una pensione. Perché quando avremo plasmato uno spazio che saprà trasmetterci una sua pedagogia, allora una battaglia non marginale dell'architettura l'avremo vinta.
ARCHITETTURA DEI RIFUGI ALPINI. Ciclo di lezioni.
«...anche quando il monte sarà deserto, la piccola casa rimarrà ad attendere il possesso dell’uomo; si coprirà di ghiaccio nel lungo inverno; scricchiolerà sotto i colpi della bufera come una navicella sul mare infuriato; ma, passato il mal tempo, ritornerà a sorridere lieta e ospitale in un’atmosfera nuova». (Guido Rey)
Prima parte: elementi per il progetto
Valenze sociali, storiche e simboliche dei rifugi; modificazione dell'utenza e del quadro esigenziale.
Lo stato dell'arte della progettazione dei rifugi negli ultimi 20 anni; rassegna di casi studio significativi.
Un caso studio: ristrutturazione e ampliamento del rifugio Baita Tonda.
Seconda parte: sinossi storica suddivisa in periodi cronologici
Sinossi storica (1750-1900)
-Il concetto di riparo: origine e forme archetipiche
-La nascita dell'alpinismo
-Dalle soluzioni di fortuna alle prime costruzioni
-Principi di prefabbricazione
Sinossi storica (1900-1943)
-Evoluzioni: il rifugio-albergo
-Influssi di pensiero: Heimatschutz
-Le guerre mondiali
-I bivacchi fissi
-Il ruolo dei progettisti
Sinossi storica (1943-1991)
-I grandi numeri
-Il ruolo della tecnica
-La preoccupazione ambientale
-Proiezione del film "Il lusso della montagna" I rifugi delle Dolomiti bellunesi.
Luca Gibello
Alcune note a margine del corso.
Se nel corso di Composizione architettonica 3 dell'Università di Trento il tema è stato imposto, sempre più spesso si trovano studenti che scelgono come soggetto di tesi la progettazione (o riprogettazione) di un rifugio o un bivacco. Siamo al capolinea? (Nel senso che ogni tema è ormai inflazionato e non si sa più dove andare a parare?) Non credo. Il progetto del ricovero alpino è una buona palestra sperimentale per svariate ragioni: testare condizioni di contesto particolari, quando non estreme; calibrare la distribuzione ottimizzando l'uso dello spazio; massimizzare l'efficienza prestazionale dell'involucro, degli impianti e, più in generale, del “funzionamento” dell'edificio; razionalizzare la logistica di cantiere; minimizzare i costi, traendo il massimo dei benefici.
Il confronto con il tema concreto del rifugio Catinaccio, a una quota non certo d'alta montagna, è stato anche per me una lezione, limando il mio atteggiamento - un po' da integralista talebano, lo ammetto - di alpinista “duro e puro”. Gli alpinisti sono davvero una risicata minoranza, tanto più in quella fascia ambientale che è la conca di Gardeccia laddove sorge il rifugio.
Eppure, non si deve vendere l'anima. Il progetto cioè dovrà saper esprimere un “non so che” (senso di condivisione, convivialità e spartanità) che dovrà sempre un poco distinguerlo dall'omologante modello alberghiero. È vero che, negli ultimi tempi il “pubblico” richiede a voce sempre più sostenuta maggiori comfort, servizi, ecc. Però, come in parte già accennato in aula, vorrei provare a impostare il ragionamento su una prospettiva più ampia e su un tempo meno limitato.
La massificazione turistica ha ampiamente mostrato la corda; i modelli comportamentali, la sociologia dello svago (e della cultura, perché mai come ora i due termini sono complementari se non sinonimi) privilegiano filosofie slow, sensibilità ecologica, consapevolezza storico-sociale dell'ambiente di cui siamo temporaneamente ospiti attraverso la nostra visita. Il ricovero alpino (insieme a chi lo conduce) incarna già - o ancora - tali valori, ma il rischio è questi vengano sacrificati sull'altare della rincorsa al modello più “moderno” (nella fattispecie, quello alberghiero). Per poi magari accorgersi, in un domani probabilmente prossimo, che occorre “recuperare le radici”, ritornare all'essenza, alla peculiarità dell'ospitalità in montagna (che, soprattutto in quota, differisce lievemente dal concetto di wellness). Speriamo di accorgerci in tempo, onde evitare di avanzare per poi dover percorrere la strada a ritroso.
Mi auguro dunque che i progetti degli studenti sappiano restituire quell'atmosfera, quel “non so che” che ti fa capire che ti stai trovando in un rifugio alpino e non in un'osteria o in una pensione. Perché quando avremo plasmato uno spazio che saprà trasmetterci una sua pedagogia, allora una battaglia non marginale dell'architettura l'avremo vinta.
Matteo Scagnol
ARCHITETTURE SEMPLICI: L’UTILITA’ DELL’INUTILE. Ciclo di lezioni.
-Dove l’architettura incontra il paesaggio
-Costruire oltre i 2.500 metri
-Il tetto: quinta facciata dell’architettura
-Il Labirinto: spazialità complesse
-Costruire in pendenza; la sezione ordina la pianta
-Dal progetto alla realizzazione: viaggio attraverso il costruire
-Il legno ha un’anima; costruire la modernità con il legno
Convivialità, condivisione ed eleganza sobria: la sala pranzo del rifugio favorisce gli incontri casuali e gli scambi tra gli ospiti. (Nella foto di Giorgio Masserano, la nuova Monte Rosa Hütte, presso Zermatt, Svizzera, 2883 m.s.l.m.)
BIBLIOGRAFIA GENERALE PER IL CORSO
Libri
Christine Schemmann, Wolkenhäuser. Alpenvereinshütten in alten Ansichten und ihre Geschichte, Hugendubel, Monaco 1983
Patrick Serre, Jean-Marie Jeudy, Refuges des Alpes de Nice au Léman, Glénat, Grenoble 1985
Silvia Tenderini, La Montagna per Tutti. Ospitalità sulle Alpi nel Novecento, CDA&Vivalda Editori, Torino 2002
Architettura moderna alpina: i rifugi (atti del convegno, Aosta, 22 ottobre 2005), quaderni della Fondazione Courmayeur (n.17), Aosta 2006
Architettura moderna alpina: i rifugi 2° (atti del convegno, Aosta, 21 ottobre 2006), quaderni della Fondazione Courmayeur (n.20), Aosta 2007
Luca Gibello, Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi, Lineadaria, Biella 2011
Remo Kundert, Marco Volken, Le capanne del Club alpino svizzero, AS Verlag, Zurigo 2013
Guida ai Rifugi del CAI, RCS, Milano 2013
Marco Benedetti, Riccardo Decarli, Guida ai rifugi del Trentino, Panorama, Trento 2013
Numeri di riviste, articoli o saggi
Mario Cereghini, Rifugi alpini e loro caratteristiche, bivacchi fissi e igloo, in Costruire in montagna, Edizioni del Milione, Milano 1950
Silvio Saglio, Rifugi e bivacchi, in 1863-1963. I cento anni del Club Alpino Italiano, CAI, Milano 1964
Giulio Apollonio, Come costruire i nostri rifugi, in 1863-1963, cit.
Mario Benassi, I rifugi della SAT, in La SAT. Centotrent'anni 1872-2002, Società degli alpinisti tridentini, Trento 2002
Rifugi d'Italia, numero monografico di «Meridiani Montagne» (n.57, luglio 2012)
Malga Fosse, numero monografico sul concorso di «a» (trimestrale dell'Ordine degli architetti di Trento, n.4, 2012)
AA. VV., numeri monografici di «Turrisbabel» (nn.92-93 2012/2013) sul concorso per i tre rifugi da ricostruire in Alto Adige, e atti dell'International Mountain Summit di Bressanone, “Architettura e montagna”
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